Ogni giorno, da decenni, l’umanità utilizza decine di milioni di barili di petrolio come fonte di energia o materia prima essenziale in una miriade di attività, in particolare nei trasporti che ne sono estremamente dipendenti, soprattutto quelli aerei e navali.
L’attenzione mondiale per gli avvenimenti sul mercato del petrolio è quindi massima e costante, ciononostante i principali media internazionali sembrano tuttora incapaci di spiegare all’opinione pubblica cosa sta avvenendo sul mercato del petrolio e cosa aspettarsi per il futuro.
Seguo il tema del petrolio dagli anni ’90 e per ragioni professionali dal 2008 e trovo che in questo momento l’analista più acuto e interessante da seguire sia Arthur Berman.
Con questo articolo voglio quindi aiutare il pubblico di non addetti ai lavori a capire quale sia la situazione sulla base delle informazioni disponibili pubblicamente nel febbraio del 2024. Le implicazioni sono molto profonde per il futuro dell’economia mondiale.
C’è ancora tanto petrolio da estrarre, però c’è un problema
Ad inizio 2024 la produzione mondiale di petrolio è inferiore ai massimi storici del 2018, ma comunque molto elevata, quindi non siamo certamente in una situazione di scarsità, ma Berman evidenzia nelle sue analisi che, quando sui media si parla di 90-100 milioni di barili di “petrolio” consumati ogni giorno dall’economia mondiale, in realtà nel calcolo sono inclusi una serie di “liquidi” petroliferi che non sono propriamente petrolio, che tecnicamente viene chiamato petrolio “convenzionale”.
Si tratta invece di altri combustibili fossili in forma liquida che hanno una densità di energia e una qualità inferiore a quella del petrolio “convenzionale” e che spesso hanno origine dall’estrazione del gas naturale e in misura minore da altre fonti come la conversione del mais in carburante. Per approfondire le informazioni illustrate in questo paragrafo vi consiglio questo articolo.
Questi liquidi alternativi non sono adatti alla produzione di diesel, ma sono impiegati per la produzione di plastica, benzina e carburante per aereo.
Se i volumi di petrolio consumati a livello mondiale sono inferiori al massimo storico del 2018 e la qualità media è inferiore, il risultato è che la quantità di energia che estraiamo dal petrolio a livello mondiale cala in valore assoluto. A compensare questo calo è stato negli ultimi anni l’aumento nella produzione di energia da gas naturale, carbone e fonti rinnovabili come sole e vento.
La ragione principale è che queste altre fonti di energia sono diventate più economiche del petrolio perché il petrolio di alta qualità è diventato più scarso e prezioso e quindi viene impiegato solo quando non ci sono alternative più convenienti. Si tratta di una normale dinamica di mercato nella quale gli attori cercano di utilizzare la fonte di energia di volta in volta più economica e adatta a ciascun tipo di attività economica. Ad esempio in passato si cucinava soprattutto con la legna, poi è diventato più comodo e conveniente usare il gas naturale e più di recente sta crescendo l’utilizzo di piani di cottura ad induzione che sfruttano l’energia elettrica e provocano meno inquinamento dentro le case.
L’era del petrolio a basso costo è quindi terminata definitivamente durante la pandemia Covid quando l’improvviso calo dei consumi relativi al settore dei trasporti aveva fatto crollare il prezzo del petrolio perché l’estrazione di petrolio non era calata altrettanto rapidamente.
Il ruolo della finanza
Prima della grande crisi finanziaria globale del 2008 il prezzo del petrolio era ai massimi storici e questo creò l’incentivo finanziario ad investire enormi quantità di denaro, soprattutto sotto forma di debito, in tecniche estrattive molto costose e dannose per l’ambiente per sfruttare il petrolio contenuto in formazioni geologiche come gli scisti che erano conosciute da tempo ma che appunto non risultavano attraenti ai prezzi di mercato precedenti.
Inizialmente questa produzione aggiuntiva, localizzata principalmente negli USA, fu redditizia, ma negli anni successivi i prezzi del petrolio e del gas naturale sono scesi negli USA e moltissime banche e investitori hanno perso denaro o ottenuto ritorni finanziari inferiori alle medie di mercato, per cui adesso preferiscono investire in altri settori più attraenti nel breve e lungo termine.
La pandemia Covid ha dato poi il colpo di grazia facendo crollare il prezzo del petrolio e così ai giorni nostri la finanza internazionale è poco interessata ad investire per aumentare la produzione petrolifera mondiale. Le grandi aziende petrolifere sono anche preoccupate per le conseguenze della crisi climatica sul loro business e quindi preferiscono spremere il più possibile i giacimenti disponibili e ridurre i costi per la ricerca di nuovi giacimenti.
In questo modo generano maggiori profitti e possono restituire più denaro ai propri investitori sotto forma di dividendi o riacquistando le azioni presenti sul mercato per farne aumentare i prezzi.
Il petrolio non convenzionale made in USA si sta comunque esaurendo
La crisi finanziaria globale del 2008, la pandemia Covid e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia hanno indotto i governi e le banche centrali di tutto il mondo ad intervenire per sostenere l’economia. Il risultato è stata una gigantesca creazione di debito pubblico, aziendale e privato delle famiglie perché il tasso di interesse da pagare era molto basso. È anche grazie a quel debito poco costoso che gli USA hanno potuto trasformarsi in pochi anni da un paese importatore netto di petrolio ad un esportatore di gas e petrolio.
Il debito totale mondiale però non può crescere all’infinito a ritmi sempre più accelerati e costantemente superiori al tasso di crescita dell’economia. Proprio in questi giorni Giappone, Germania e Gran Bretagna sono entrati contemporaneamente tutti in recessione e in Cina sta collassando il settore immobiliare che aveva su di sé una quantità di debito di proporzioni immani.
Inoltre quel periodo di boom del debito a basso costo ha anche accelerato l’esaurimento dei giacimenti di petrolio non convenzionale degli USA. Non sappiamo ancora quando avverrà il momento esatto del calo della produzione nazionale statunitense, ma se mancano i fondi per spingere al massimo la produzione rimanente, possiamo aspettarci che avvenga nel giro di un paio di anni.
Dato che la produzione di petrolio non convenzionale degli USA aveva contribuito molto a mantenere elevata la disponibilità di petrolio nel mondo, un futuro calo della sua produzione dovrebbe impattare pesantemente sul prezzo del petrolio, anche perché i grandi produttori internazionali come Russia, Arabia Saudita, Iran ecc. hanno formato il cartello OPEC+ per cercare di ottenere più denaro possibile a breve termine.
Anche se ufficialmente i paesi dell’OPEC+ sono ottimisti sul futuro e prevedono decenni di consumi crescenti di petrolio e gas, le loro azioni dicono il contrario: stanno investendo somme enormi per diversificare la loro economia e puntano perfino su fonti di energia a basse emissioni come il solare o il nucleare di fissione. Inoltre investono massicciamente in armi per prepararsi a possibili guerre per le risorse e in impianti di desalinizzazione per garantirsi una fonte di acqua potabile alternativa alle piogge sempre più scarse.
Il mio timore, che forse è anche il loro, è che l’accelerazione brutale della crisi climatica possa costringere l’umanità a consumare meno gas, petrolio e carbone non solo per una scelta politica ponderata, ma anche perché miliardi di persone si troveranno senza i mezzi economici per potersi permettere una quantità di combustibili fossili pari ai livelli attuali. Allo stesso tempo abbiamo visto che diventa sempre più costoso estrarre il petrolio rimanente e quindi i prezzi di mercato non possono scendere sotto il costo di produzione.
E le auto elettriche?
La domanda di energia dei veicoli stradali gioca un ruolo cruciale nel mercato del petrolio sia per la sua dimensione assoluta sia perché ha continuato a crescere dal dopoguerra ad oggi tranne la breve pausa durante la pandemia Covid. Berman è convinto che l’impatto delle auto elettriche sarà modesto, ma io sono di tutt’altra opinione e ritengo di avere una maggiore conoscenza specifica del settore dei trasporti, nel quale sono attivo da oltre 20 anni, mentre Berman è un geologo esperto di idrocarburi.
Molti analisti ed “esperti” non si sono accorti infatti che il mercato mondiale delle autovetture ha raggiunto il suo massimo storico nel 2016 e da allora è in calo. Inoltre anche i chilometri percorsi tendono a non aumentare. Questi due fenomeni dipendono da:
a) saturazione del mercato delle auto,
b) invecchiamento della popolazione nei paesi ricchi – gli anziani guidano di meno perché non vanno ogni giorno al lavoro
c) maggiore durata delle auto
d) diffusione a livello mondiale di politiche locali o nazionali per disincentivare l’uso dell’auto e promuovere mezzi di trasporto alternativi come la bicicletta e il trasporto pubblico
d) crescita della congestione stradale nelle aree urbane che allunga i tempi di percorrenza e disincentiva l’utilizzo dell’auto a maggior ragione in presenza di alternative più veloci come la bici o la metropolitana.
In questo mercato automobilistico complessivamente in calo cresce però rapidamente la percentuale di veicoli che impiegano energia elettrica e non più derivati del petrolio come fonte di energia, per cui la tendenza è ad un calo della domanda di benzina, diesel ecc. Inoltre anche i motori tradizionali diventano più efficienti grazie ad esempio all’uso di motori ibridi e sistemi di “start and stop”.
Più di recente è diventato evidente anche l’impatto della politica di taglio dei prezzi di vendita da parte di Tesla e delle sue concorrenti cinesi, in particolare BYD. La loro strategia è di continuare a crescere rapidamente in termini di auto vendute all’anno così da sfruttare appieno le enormi fabbriche che hanno costruito negli ultimi anni per ridurre ulteriormente i loro costi di produzione delle batterie e dei veicoli.
Al momento l’impatto delle auto elettriche sui consumi mondiali di carburante è modesto, ma la tendenza è inevitabile e la motorizzazione elettrica prende piede anche in altri segmenti del mercato come gli autobus, i ciclomotori e più di recente i camion. Perfino i traghetti e le piccole imbarcazioni si stanno elettrificando per abbattere consumi e le emissioni inquinanti.
L’impatto della crisi economica globale
Già nel 2022 avevo scritto un articolo approfondito per spiegare che stavamo vivendo una crisi economica nascosta dovuta alla crisi del mercato finanziario Eurodollar e nel 2023 gli effetti si sono fatti sentire in maniera sempre più evidente con le crisi bancarie di Silicon Valley Bank e Credit Suisse ma anche con una crisi del debito che sta colpendo un numero crescente di paesi poveri o a medio reddito. Il 2024 è iniziato poi, come già anticipato, con la recessione in Germania, Giappone e Gran Bretagna più i problemi della Cina.
L’esplosione del debito ci ha permesso di continuare a crescere economicamente ancora per qualche anno, ma come si dice anche in gergo finanziario “the party is over“, la festa è finita, e ci aspettano anni di declino in termini di prodotto interno mondiale anche proprio perché l’era del petrolio e del gas naturale a basso costo è finita.
Le tendenze della demografia mondiale
Gli anni ’70 dello scorso secolo segnano una svolta nell’evoluzione demografica dell’umanità come spiegato dal brillante documentario intitolato “Birth Gap”. La crisi economica ed energetica provocata dall’embargo petrolifero del 1973 porta le famiglie italiane, giapponesi, tedesche e di molti altri paesi ricchi a guardare al futuro con maggiore pessimismo e le coppie ritardano il matrimonio e la nascita di figli, provocando un sensibile calo del numero di figli per donna. Questo fenomeno si ripete nei paesi dell’ex blocco sovietico con la caduta dell’URSS nei primi anni ’90.
Nel frattempo in Cina il regime comunista era estremamente preoccupato dal rischio di non riuscire a sfamare la sua popolazione se essa avesse continuato a crescere in maniera incontrollata. La decisione fu allora di introdurre nel 1979 la cosiddetta “politica del figlio unico” e fu fatta rispettare molto severamente nelle aree urbane con il doppio effetto di ridurre drasticamente la natalità ma anche di spingere le famiglie a scegliere di avere un figlio maschio mediante gli aborti selettivi. Si trattava di una preferenza culturale che si è rivelata tragica e controproducente perché in Cina adesso ci sono milioni di maschi che non possono trovare una compagna, ulteriormente riducendo la natalità futura.
A distanza di più di 40 anni la Cina si trova ad essere oggi il paese al mondo che invecchia più rapidamente con gravi conseguenze per il presente e il futuro. Paradossalmente i governanti locali avevano però di fatto un incentivo a sovrastimare la popolazione per ottenere più fondi dal governo centrale e così neanche il governo cinese sa con precisione quanti abitanti abbia la Cina e si moltiplicano i dubbi che il numero di nascite sia stato sopravvalutato per decenni.
La popolazione cinese potrebbe non aver mai raggiunto gli 1,4 miliardi ufficiali e sia in calo da diversi anni, ma ormai è troppo tardi per correre ai ripari perché ci sono troppe poche donne in età fertile per stabilizzare la popolazione che è destinata a scendere sotto il miliardo di abitanti in pochi decenni. Un destino simile sta colpendo altri paesi asiatici come il Giappone o la Corea del Sud e Taiwan.
Negli USA è stata invece in particolare la crisi economica iniziata nel 2008 a causare una tendenza al calo delle nascite mentre la pandemia Covid ha contemporaneamente rallentato l’emigrazione e fatto schizzare la mortalità. Stati Uniti e Canada hanno però una prospettiva demografica più sicura grazie al fatto che sono terre di forte immigrazione e questo attenua gli effetti del tasso di natalità in calo tra i residenti.
Più in generale a livello mondiale il fenomeno dell’urbanizzazione porta le famiglie a ridurre il numero di figli perché in città i figli hanno un costo elevato mentre invece in campagna sono braccia in più che possono aiutare in agricoltura o nell’allevamento. Per queste ed altre ragioni come l’aumento della scolarizzazione tra le donne e la diffusione della contraccezione, in tutto il mondo la natalità sta crollando, perfino in Africa.
Abbiamo superato ad esempio il cosidetto “Peak Child“, cioè il picco del numero dei bambini di età fino a 5 anni. Secondo questa fonte il picco è stato raggiunto nel 2017 con circa 690 milioni di bambini e nel 2024 siamo già scesi a 652 milioni. Il Peak Child è un momento cruciale nella storia dell’umanità perché garantisce che la popolazione umana sia destinata a diminuire nel vicino futuro. Nel 2012 c’è stato invece il picco assoluto delle nascite con un valore stimato di 144 milioni contro i 133 milioni del 2023.
Finora le previsioni demografiche dell’ONU sono state abbastanza affidabili, ma già oggi sappiamo che non avevano previsto quanto sarebbe stata rapida l’urbanizzazione africana e il conseguente calo della fertilità. Inoltre i demografi dell’ONU non sembra abbiano tenuto conto dei limiti della biosfera nel sostenere la popolazione umana. Potremmo quindi assistere ad una crescita della mortalità dovuta a caldo, umidità e altri effetti negativi della crisi climatica ed economica che ne deriva.
A peggiorare la situazione c’è il problema che nei paesi dove ci sono aree di forte emigrazione dei giovani, sia verso l’estero sia verso aree più ricche di opportunità all’interno dello stesso paese, la speranza di vita degli anziani “rimasti indietro” tende a diminuire sia perché peggiora l’assistenza sanitaria per mancanza di personale e denaro, sia perché gli anziani soffrono a livello psicologico la solitudine e il senso di inutilità per il fatto di essere abbandonati o di non avere più uno scopo.
Conclusione
Sono convinto che sia inutile fare previsioni sul prezzo del petrolio, troppe sono le variabili in gioco. Possiamo invece prevedere con una certa sicurezza che la produzione di petrolio continuerà a calare costantemente insieme al gas naturale che ha raggiunto il suo picco nel 2021.
Tra le tre fonti principali di energia fossile, il carbone è quella più abbondante e distribuita più equamente a livello geografico. C’è tanto carbone in Cina, Russia, Germania, Sud Africa, USA ecc. È anche relativamente semplice da estrarre, per cui temo che continuerà ad essere usato ancora molto a lungo, ma se l’economia mondiale dovesse entrare in recessione nel 2024 allora potremmo assistere già quest’anno al suo picco perché l’energia solare ed eolica e in misura minore il nucleare sono destinati a rubargli crescenti quote di mercato.