Al momento stai visualizzando Petrolio – come prevederne il prezzo e interpretarne il mercato

Ogni giorno, da decenni, l’umanità utilizza decine di milioni di barili di petrolio come fonte di energia o materia prima essenziale in una miriade di attività, in particolare nei trasporti che ne sono estremamente dipendenti.

L’attenzione mondiale per quello che succede nel mercato del petrolio è quindi massima e costante, ciononostante negli ultimi anni i principali media internazionali sembrano incapaci di spiegare all’opinione pubblica cosa sta avvenendo sul mercato del petrolio e perché il prezzo salga o scenda.

Con questo articolo ho deciso quindi di spiegare la situazione sulla base delle informazioni disponibili ad aprile 2023 e aiutare i lettori a prevedere i possibili scenari futuri per il prezzo e la disponibilità di petrolio e suoi derivati.

L’impatto del mercato automobilistico

La domanda di energia dei veicoli stradali gioca un ruolo cruciale nel mercato del petrolio sia per la sua dimensione assoluta, che è gigantesca, sia perché ha continuato a crescere dal dopoguerra ad oggi tranne la breve pausa durante la pandemia Covid.

Molti non si sono accorti però che il mercato mondiale delle autovetture ha raggiunto il suo massimo storico nel 2016 e da allora è in calo. Inoltre anche i chilometri percorsi tendono a non aumentare. Questi due fenomeni dipendono da:

a) saturazione del mercato delle auto,
b) invecchiamento della popolazione nei paesi ricchi – gli anziani guidano di meno perché non vanno ogni giorno al lavoro
c) maggiore durata delle auto
d) diffusione a livello mondiale di politiche locali o nazionali per disincentivare l’uso dell’auto e promuovere mezzi di trasporto alternativi come la bicicletta e il trasporto pubblico
d) crescita della congestione stradale che allunga i tempi di percorrenza e disincentiva l’utilizzo dell’auto

In questo mercato automobilistico complessivamente in calo cresce però rapidamente la percentuale di veicoli che impiegano energia elettrica e non più derivati del petrolio come fonte di energia, per cui la tendenza è ad un calo della domanda di benzina, diesel ecc. Inoltre anche i motori tradizionali diventano più efficienti grazie ad esempio all’uso di motori ibridi e sistemi di “start and stop”.

Più di recente è diventato evidente anche l’impatto della politica di taglio dei prezzi di vendita da parte di Tesla per continuare a crescere rapidamente in termini di auto vendute all’anno così da sfruttare appieno le enormi fabbriche che ha costruito negli ultimi anni e ridurre ulteriormente i suoi costi di produzione. In Europa, Stati Uniti e Cina, i tre maggiori mercati mondiali delle auto, il prezzo delle auto elettriche sta diminuendo e quindi guadagnano nuove quote di mercato a scapito delle motorizzazioni a combustione.

Al momento l’impatto delle auto elettriche sui consumi mondiali di carburante è modesto, ma la tendenza è inevitabile e la motorizzazione elettrica prende piede anche in altri segmenti del mercato come gli autobus, i ciclomotori e più di recente i camion. Perfino i traghetti e le imbarcazioni di ogni dimensione si stanno elettrificando per abbattere consumi ed emissioni inquinanti.

L’impatto della crisi economica globale

Già nel 2022 avevo scritto un articolo approfondito per spiegare che stavamo vivendo una crisi economica nascosta dovuta alla crisi del mercato finanziario Eurodollar e nel 2023 gli effetti si sono fatti sentire in maniera sempre più evidente con le crisi bancarie di Silicon Valley Bank e Credit Suisse ma anche con una crisi del debito che sta colpendo un numero crescente di paesi poveri o a medio reddito.

In estrema sintesi, dopo decenni di crescita esponenziale del debito a livello mondiale, a partire dalla crisi finanziaria del 2008 le banche internazionali sono sempre più avverse al rischio e concedono prestiti con maggiore difficoltà ai paesi emergenti e alle piccole e medie imprese, frenandone fortemente la crescita.

Diventa così sempre più difficile continuare ad investire o semplicemente ripagare i debiti precedenti e la crescita economica mondiale ne soffre, determinando un calo della domanda di petrolio dato che essa è strettamente collegata alla crescita del PIL. Bisogna sempre considerare infatti che ogni anno vengono introdotte nuove tecnologie, politiche e materiali che permettono di risparmiare energia, quindi aumenta l’efficienza energetica complessiva del sistema economico. Se il PIL non cresce, questo guadagno di efficienza tende a frenare la crescita dei consumi di petrolio.

La reazione dei produttori di petrolio

Ogni volta che la domanda mondiale di petrolio scende anche di meno dell’1% rispetto alla media dei mesi precedenti i principali produttori mondiali di petrolio, Arabia Saudita e Russia in testa, tendono a mettersi d’accordo per ridurre volontariamente la produzione di petrolio. Questo effetto sul lato dell’offerta di petrolio compensa in parte il calo della domanda e così il prezzo del petrolio può rimanere temporaneamente elevato, ma è un’arma a doppio taglio perché il prezzo elevato del petrolio costringe soprattutto i paesi poveri a ridurre la domanda di petrolio e favorisce gli investimenti a livello mondiale per ridurne il consumo puntando appunto su veicoli elettrici ed energie rinnovabili o materiali non a base di petrolio.

L’incognita degli investimenti nei nuovi giacimenti

Il petrolio viene estratto dal sottosuolo grazie a investimenti da miliardi di dollari che danno i frutti a molti anni di distanza da quando si inizia ad esplorare un territorio per scoprire i giacimenti. Non solo, ogni giacimento è in grado di produrre solo per un certo numero di anni o addirittura di mesi al suo massimo, poi la produzione inevitabilmente cala progressivamente fino a quando diventa antieconomico estrarre gli ultimi barili di petrolio e il giacimento viene abbandonato.

Di conseguenza le aziende petrolifere devono continuamente cercare nuovi pozzi e metterli in produzione per mantenere stabile la loro produzione e complessivamente la produzione mondiale. Il futuro incerto dell’economia mondiale, le previsioni demografiche negative, il successo crescente delle tecnologie verdi e le politiche per contrastare la crisi ecoclimatica stanno portando da anni gli investitori a frenare i loro investimenti su un settore che sembra destinato al declino.

Se questa tendenza continuerà, il calo degli investimenti provocherà inevitabilmente un progressivo calo dell’offerta di petrolio nei prossimi anni e paradossalmente potremmo assistere a livelli alti di prezzo del petrolio anche in presenza di una perdurante crisi o stagnazione economica globale. Questa è la maggiore incognita nel valutare il futuro del prezzo e della disponibilità di petrolio e nessun analista serio può affermare di sapere se si tratta di un fenomeno temporaneo o permanente, anche perché una buona parte dei maggiori giacimenti di petrolio si trovano in paesi autoritari dove le decisioni sono prese dagli Stati e non dai privati quindi le scelte avvengono in maniera opaca e non sempre razionale.

Sugli altri fattori discussi in questo articolo che impattano sul prezzo del petrolio personalmente sono invece molto più sicuro delle mie previsioni perché basate su tendenze di lungo periodo che sono difficili da cambiare a partire dalla demografia.

Le tendenze della demografia cinese e mondiale

Gli anni ’70 dello scorso secolo segnano una svolta nell’evoluzione demografica dell’umanità come spiegato dal brillante documentario intitolato “Birth Gap”. La crisi economica ed energetica provocata dall’embargo petrolifero del 1973 porta le famiglie italiane, giapponesi, tedesche e di molti altri paesi ricchi a guardare al futuro con maggiore pessimismo e le coppie ritardano il matrimonio e la nascita di figli, provocando un sensibile calo del numero di figli per donna. Questo fenomeno si ripete nei paesi dell’ex blocco sovietico con la caduta dell’URSS nei primi anni ’90.

In Cina il regime comunista era estremamente preoccupato dal rischio di non riuscire a sfamare la sua popolazione se essa avesse continuato a crescere in maniera incontrollata. La decisione fu allora di introdurre nel 1979 la cosiddetta “politica del figlio unico” e fu fatta rispettare molto severamente nelle aree urbane con il doppio effetto di ridurre drasticamente la natalità ma anche di spingere le famiglie a scegliere di avere un figlio maschio mediante gli aborti selettivi. Si trattava di una preferenza culturale che si è rivelata tragica e controproducente perché in Cina adesso ci sono milioni di maschi che non possono trovare una compagna, ulteriormente riducendo la natalità futura.

A distanza di più di 40 anni la Cina si trova ad essere oggi il paese al mondo che invecchia più rapidamente con gravi conseguenze per il presente e il futuro. Paradossalmente i governanti locali avevano però di fatto un incentivo a sovrastimare la popolazione per ottenere più fondi dal governo centrale e così neanche il governo cinese sa con precisione quanti abitanti abbia la Cina e si moltiplicano i dubbi che il numero di nascite sia stato sopravvalutato per decenni e che la popolazione cinese non abbia mai raggiunto gli 1,4 miliardi e sia in calo da diversi anni, ma ormai è troppo tardi per correre ai ripari perché ci sono troppe poche donne in età fertile per stabilizzare la popolazione che è destinata a scendere sotto il miliardo di abitanti in pochi decenni. Un destino simile sta colpendo altri paesi asiatici come il Giappone o la Corea del Sud e Taiwan

Negli USA è stata invece in particolare la crisi economica iniziata nel 2008 a causare una tendenza al calo delle nascite mentre la pandemia Covid ha contemporaneamente rallentato l’emigrazione e fatto schizzare la mortalità. Stati Uniti e Canada hanno però una prospettiva demografica più sicura grazie al fatto che sono terre di forte immigrazione e questo attenua gli effetti del tasso di natalità in calo tra i residenti.

Più in generale a livello mondiale il fenomeno dell’urbanizzazione porta le famiglie a ridurre il numero di figli perché in città i figli hanno un costo elevato mentre invece in campagna sono braccia in più che possono aiutare in agricoltura o nell’allevamento. Per queste ed altre ragioni come l’aumento della scolarizzazione e la diffusione della contraccezione, in tutto il mondo la natalità sta crollando, perfino in Africa.

Sempre più studi demografici arrivano così alla conclusione che la popolazione mondiale potrebbe non raggiungere mai i 9 miliardi di persone previsti in passato per la metà di questo secolo e che potremmo assistere invece ad un calo repentino una volta raggiunto un picco intorno agli 8,5 miliardi.

A peggiorare la situazione c’è il problema che nei paesi dove ci sono aree di forte emigrazione dei giovani, sia verso l’estero sia verso aree più ricche di opportunità all’interno dello stesso paese, la speranza di vita degli anziani “rimasti indietro” tende a diminuire sia perché peggiora l’assistenza sanitaria per mancanza di personale e denaro, sia perché gli anziani soffrono a livello psicologico la solitudine e il senso di inutilità per il fatto di essere abbandonati o di non avere più uno scopo.

Il timore è quindi che si possa assistere ad un forte aumento della mortalità nonostante la scienza medica continui a compiere progressi. Infine molti paesi poveri rischiano di diventare vecchi prima di diventare ricchi per cui tra 10-20-30 anni potremmo assistere a problemi simili anche in Sud America e perfino in parti dell’India e del Bangladesh, paesi questi dove il tasso di fecondità è di recente sceso sotto la soglia di sostituzione che è pari a 2,1 figli per donna. Per il Bangladesh è a 2,08 mentre per l’India è a 2,07.

L’effetto della crisi ecoclimatica

Anche l’aumento delle temperature e l’aumento dei fenomeni estremi come le alluvioni e siccità catastrofiche impatta sulla speranza di vita delle persone, perché se già nei paesi ricchi le ondate di calore provocano migliaia di morti, figuriamoci quale può essere l’effetto su una popolazione povera e divenuta anziana di un grande paese asiatico o africano. Oltre all’impatto demografico c’è poi l’impatto economico del peggioramento delle condizioni climatiche che fa prevedere un calo della domanda di petrolio.

Conclusione: le mie previsioni

Dal 1973 al 2019 il mercato del petrolio è stato quasi sempre governato da chi controllava l’offerta di petrolio perché sia la popolazione che l’economia mondiale crescevano e con esse la domanda di petrolio. La crisi economica causata dalla pandemia a cui è seguita l’ulteriore crisi economica ed energetica provocata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia secondo me ha chiuso però definitivamente quella fase storica perché si sono aggiunte alle altre tre crisi, finanziaria, demografica ed ecologica, innescando un circolo vizioso di minore domanda di petrolio e minori investimenti per aprire nuovi giacimenti.

La mia previsione è quindi di un ulteriore declino di lungo periodo del prezzo reale del petrolio dal suo picco di 147,25 dollari al barile dell’11 luglio 2008. Non bisogna infatti dimenticare che l’inflazione fa sì che un dollaro del 2008 valesse molto di più di un dollaro del 2023. Prezzo reale in calo e numero di barili venduti in calo porteranno inoltre ad un declino complessivo della dimensione del mercato del petrolio che peserà sempre di meno sul totale dell’economia mondiale, togliendo sempre più potere ai paesi produttori.

Questa la mia previsione, che però potrebbe essere annullata dall’eventuale scoppio di una guerra di proporzioni ancora più vaste di quella in Ucraina, perché se entrassero in guerra ad esempio USA e Cina si entrerebbe in territori inesplorati nei quali le previsioni diventano inutili perché continuamente superate dai rapidi cambiamenti del contesto generale

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